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Ricerca scientifica e medicina tradizionale nelle cefalee


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Dagli USA la nuova cura contro l’età: l’insalata mantiene giovani

Mentre gli chef stellati affilano i loro coltelli in cucine sterili come sale operatorie gli scienziati servono la vendetta di un piatto semplice come l’insalata dimostrando che aiuta a prevenire il declino cognitivo e la demenza nell’anziano: consumare in media un piatto al giorno di insalata a foglie verdi per 5 anni equivale a essere 11 anni più giovani dal punto di vista mentale rispetto ai coetanei.

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L’invecchiamento della popolazione è una delle principali sfide nei paesi occidentali con la previsione di un’epidemia di casi di demenza. Questa malattia si accompagna al progressivo declino delle facoltà mentali con perdita dell’autonomia. La perdita della ragione e la dipendenza dagli altri è la conseguenza più temuta dell’invecchiamento. Ecco perché è fondamentale la ricerca di strategie preventive per evitare il futuro collasso del sistema sanitario e per diffondere i mezzi di prevenzione che si sono dimostrati efficaci e soprattutto accessibili a tutti come le scelte nel campo alimentare. Già due ricerche avevano evidenziato l’effetto protettivo contro l’invecchiamento cerebrale dell’insalata a foglie verdi ed ora è arrivata la conferma da un grande studio condotto sulla popolazione anziana dell’area di Chicago. In più questa ricerca è riuscita a individuare le sostanze nutrienti bioattive responsabili di questo straordinario effetto.

Lo studio è una costola del Progetto Memoria e Invecchiamento o MAP (Rush Memory and Aging Project) nato nel 1997 e che dal 2004 registra i consumi alimentari quotidiani di quasi 1000 anziani di Chicago ospiti di case di riposo (età media 81 anni). La ricerca è stata pubblicata sulla più importante rivista scientifica americana di Neurologia (Neurology) nel gennaio di quest’anno. Sono state valutate con 19 test le performance mentali comprese la memoria generale, la memoria personale, la memoria a breve termine, l’abilità visuo-spaziale, la velocità percettiva per un periodo medio di 5 anni.

E il risultato è sorprendente: mangiare un piatto di insalata a foglie verdi tutti i giorni vuol dire avere un cervello più giovane di 11 anni. L’effetto protettivo dell’ insalata pare dovuto all’azione diretta sul cervello dei nutrienti che contiene e non è secondario agli effetti positivi sul sistema cardiocircolatorio. I risultati dello studio non sono applicabili automaticamente anche alle persone più giovani ma noi possiamo ipotizzare che l’insalata faccia bene ad ogni età. Ma vediamo in dettaglio cosa hanno mangiato negli anni gli ottuagenari studiati a Chicago: coloro che sono risultati ai test mentali più giovani avevano consumato quotidianamente verdure a foglia verde: spinaci, lattuga, cavolo o verza.

Sono state anche individuate le sostanze nutrienti responsabili di questo straordinario effetto: luteina, vitamina K, folato, α-tocoferolo, kaemferolo e nitrato, tutti quanti associati al rallentamento del declino cognitivo. Le verdure a foglia verde rappresentano una fonte alimentare primaria per ognuno di questi nutrienti.

Pare quindi che sia possibile mantenere un cervello più giovane ed efficiente facendo attenzione a cosa mettiamo in tavola e aggiungendo tutti i giorni un piatto tipico della cucina mediterranea: un’insalata a foglie verdi. Una bella trasformazione se pensiamo ai mitici spinaci di Braccio di Ferro che da emblema di muscoli d’acciaio diventano la base della plasticità neuronale e delle performance cognitive. Così cambiano i tempi ed ora possiamo rinunciare alla forza bruta e puntare di più sulla forza della mente.

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Fonti: Nutrients and bioactives in green leafy vegetables and cognitive decline: Prospective study. Morris MC, Wang Y, Barnes LL, Bennett DA, Dawson-Hughes B, Booth SL. Neurology. 2018 Jan 16;90(3):e214-e222.

 


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Eliminare il cioccolato dalla dieta serve contro il mal di testa?

Il cioccolato è ritenuto comunemente una potenziale causa di mal di testa e chi soffre di questa malattia viene facilmente invitato da amici, giornali, media, a eliminarlo dalla dieta anche se i dati scientifici a favore di questo atteggiamento di rinuncia non sono molti. Secondo la teoria che vede l’emicrania come una malattia basata su una predisposizione genetica ereditabile su cui agiscono come fattore scatenante gli elementi dell’ambiente, sono stati identificati con l’esperienza numerosi fattori che possono giocare un ruolo scatenante, i cosiddetti fattori trigger, che comprendono stress, digiuno, mancanza di sonno, variazioni ormonali, dieta.

Tra i fattori dietetici comunemente sotto accusa come possibili cause di mal di testa ed emicrania vi sono il mono-sodio-glutamato ed il cioccolato. Il cioccolato infatti contiene alcune sostanze che possono scatenare attacchi di mal di testa, in particolare tiramina e fenil-alanina oltre a caffeina e teobromina presenti in piccole quantità.

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Ma vediano quali dati si possono ricavare dalle ricerche scientifiche: uno studio interessante che sembra confermare la correlazione tra cioccolato e mal di testa è quello che ha analizzato quali sono i fattori in grado di scatenare l’aura emicranica. Ricordo che l’aura è un fenomeno visivo che di solito precede l’attacco di emicrania e consiste nella comparsa in una zona periferica del campo visivo di una piccola macchia cieca detta scotoma che progressivamente si allarga e presenta al suo interno figure geometriche a spirale o a zig-zag colorate o scintillanti; può provocare la sensazione di vedere attraverso un velo d’acqua o attraverso il calore che sale dall’asfalto in estate.
Nello studio
condotto in un Centro Cefalee a Copenhagen nel 2017 si è evidenziato che l’aura può essere provocata dall’ingestione di cioccolato oltre che da altri fattori scatenanti come la nitroglicerina,  il peptide CGRP, l’insulina, l’attività fisica e la stimolazione visiva.¹

Un altro elemento indiretto a favore del ruolo svolto dal cioccolato nello scatenamento del mal di testa è la dimostrazione che l’esclusione dalla dieta del cacao ha determinato la scomparsa della cefalea in un gruppo di bambini seguiti presso un ambulatorio pediatrico in Canada.²

Questi elementi considerati insieme fanno ritenere che il cioccolato sia effettivamente in grado di scatenare gli attacchi di emicrania in soggetti predisposti anche se non è possibile generalizzare le conclusioni. Piuttosto che escludere il cioccolato dalla dieta di tutti coloro che soffrono di mal di testa è utile tenere un diario del mal di testa in cui si annotano i giorni in cui si sono verificati gli attacchi e quali sono i possibili fattori scatenanti nelle singole occasioni. In genere quando un elemento della dieta scatena il mal di testa l’associazione è evidente e in questo caso si può procedere ragionevolmente all’esclusione dell’alimento dalla dieta attendendosi un migliormento del disturbo. In questo modo evitiamo di costringere tutti a una rinuncia inutile e faticosa, tenuto conto anche di quanto è diffusa la passione per questo protagonista di degustazioni e di momenti di pausa.

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Inoltre vietare a tutti la gioia del cioccolato vuole dire non considerare gli effetti benefici di questa sostanza che era considerata cibo degli dei. Il nome dato da Linneo alla pianta del cioccolato nel 1753 è infatti “Theobroma” o cibo degli dei, da cui deriva il nome della “teobromina”, uno dei principi attivi contenuti nel cacao, responsabile della sensazione di benessere dopo la sua assunzione. Ma oggi oltre ai benefici sullo stato mentale sono stati evidenziati anche gli effetti protettivi della pianta del cacao che contiene potenti antiossidanti come i polifenoli in grado di eliminare i radicali liberi e contrastare gli stati infiammatori e ridurre il rischio cardiovascolare.

In conclusione pare ragionevole non escludere il cioccolato dalla dieta tranne il caso in cui si può verificare attraverso il diario personale l’esistenza di un reale rapporto tra la sua assunzione e lo scatenamento del mal di testa.

Bibliografia:

  1. Can migraine aura be provoked experimentally? A systematic review of potential methods for the provocation of migraine aura. Lindblad M, Hougaard A, Amin FM, Ashina M. Cephalalgia. 2017 Jan;37(1):74-88.
  2. Effect of exclusion of frequently consumed dietary triggers in a cohort of children with chronic primary headache. Taheri S. Nutr Health. 2017 Mar;23(1):47-50.


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Mal di testa e ciclo mestruale: ormoni e carenza di ferro

E’ stato identificato un nuovo tipo di emicrania mestruale che secondo i ricercatori si differenzia dalla maggior parte delle emicranie correlate al ciclo dipendenti da fattori ormonali¹. Si tratta dell’emicrania che compare quando sta terminando la mestruazione, in cui si è evidenziata una carenza di ferro con bassi valori di ferritina. L’identificazione di questa forma di emicrania e il suo rapporto con le perdite mestruali e la conseguente carenza di ferro fa intravedere la possibilità di una cura con integratori a base di ferro.

Lo studio delle dottoresse Calhoun e Gill del Carolina Headache Institute su 120 donne in cura per emicrania mestruale ha permesso con l’analisi del diario della cefalea di individuare un gruppo di 30 donne in cui il mal di testa si presentava al termine del flusso mestruale e non al suo inizio.

In queste donne il valore di ferritina nel sangue era sotto la soglia minima di 50 ng/ml. La ferritina rappresenta una riserva di ferro e la sua riduzione indica che l’insorgenza dell’emicrania alla fine del flusso può dipendere da una transitoria anemia con carenza di ferro causata dalle perdite mestruali.

L’emicrania di fine mestruo presenterebbe quindi un’origine diversa rispetto all’emicrania premestruale, attribuita alla rapida caduta degli ormoni estrogeni e progesterone che dà inizio alla mestruazione: circa 48 ore dopo la caduta ormonale si manifesta l’emicrania premestruale.

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Da Wikimedia Commons

L’emicrania premestruale viene affrontata con le terapie preventive anti-emicraniche, che comprendono un ventaglio di provvedimenti di intensità crescente a partire dagli integratori a base di magnesio, proseguendo se questo non basta con i farmaci ad azione preventiva; in ultima istanza se la terapia con integratori o farmacologica non sortisce effetto si possono stabilizzare i valori ormonali con terapie estroprogestiniche.

Al contrario l’emicrania che compare negli ultimi giorni della mestruazione, o emicrania di fine mestruo, non sarebbe causata da fluttuazioni ormonali e potrebbe risolversi solo con la somministrazione di ferro. E’ necessario attendere gli studi che potranno confermare questa nuova possibilità terapeutica consigliando nel frattempo alle donne che soffrono di mal di testa verso la fine della mestruazione di controllare i valori di sideremia e ferritina.

Bibliografia:
1) Calhoun AH, Gill N; Presenting a New, Non-Hormonally Mediated Cyclic Headache in Women: End-Menstrual Migraine, Headache 2017 Jan; 57(1): 17-20

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Emicrania


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Emicrania di Oliver Sacks

Emicrania è un libro di Oliver Sacks pubblicato da Adelphi Edizioni nel 1992. «Emicrania non è solo una descrizione, ma anche una meditazione sulla natura della salute e della malattia, e su come, ogni tanto, gli esseri umani possano aver bisogno, per breve tempo, di essere malati; una meditazione sull’unità di mente e corpo, e sull’emicrania come […]

via Emicrania — MetropoliZ blog


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Cluster headache, food can trigger attacks

Report of a patient suffering from cluster headache whose attacks are triggered by food.

Cluster headache is an excruciating type of headache with relatively short attacks every day for some weeks or months. Pain is localized in one side of the head, often around the eye. Typical associated symptoms are: red and watering eye, blocked or runny nostril, swelling of the eyelid, all on the some side as the pain. Attacks often occur at the same time each day, notably after lunch and during night.

Alcohol is a well known trigger of cluster headache and it is mandatory to avoid alcohol drinking during the bouts of headache. No food trigger is known to date.

A 49-year-old patient, suffering from cluster headache for 13 years, with 1 or 2 attacks per day, reported that his attacks are triggered by certain foods: spinach, lentils, lettuce, and broccoli. After eating these foods he has always noticed the onset of a typical attack, so he decided to remove them from the diet. I was very surprised because it was the first time that a cluster headache patient reported being sure of this cause-effect relationship. He found no correlation with neither chocolate nor with meat.

This observation is very valuable as it is the first time that a patient reports a food trigger other than alcohol (particularly beer).

We should not expect that all patients are susceptible to the some foods but it indicates that everyone has to look for a correlation to what he eats. This is especially important if the attacks appear after meals.

Regarding foods indicated by this patient as a possible trigger factor  we can only speculate: these are all foods with high folate content, a water-soluble B vitamin (whereas folic acid is a form of folate contained in vitamine supplements), and high nitrate/nitrite content (specially lettuce and spinach).

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w1 green spinach lentils, by jules, flickr cc

 We need to advise people suffering from cluster headache to pay attention to the foods eaten during the cluster period, keeping a journal and taking care of possible correlations: even seemingly innocuous green leafy vegetables or legumes can trigger an attack; similarly is useful to pay attention to supplements intake.

 

 


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I sintomi dell’emicrania

Si parla di emicrania per indicare un tipo particolare di mal di testa suscettibile di cura. Non tutti i mal di testa sono uguali, e ognuno nel corso della vita prima o poi ne fa esperienza. Fortunatamente la maggior parte delle persone soffre raramente di mal di testa, in genere dopo eccessi lavorativi o alimentari, e tutto passa con un po’ di riposo. Ma per alcune persone questo disturbo diventa una compagnia abituale e rischia di stravolgere la vita.

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Migraine by makelessnoise – Flickr Creative Commons Licence

Sgomberiamo intanto il campo dalla confusione di termini: che differenza c’è fra emicrania e cefalea? Si riferiscono entrambi al mal di testa, ma mentre “cefalea” indica genericamente nel linguaggio medico ogni tipo di mal di testa, l’emicrania è una forma particolare di mal di testa, particolarmente aggressiva che colpisce per lo più le donne.
Costretta a letto dal mal di testa che pulsa, con una sensazione di nausea che talora può sfociare nel vomito, con le tapparelle abbassate per evitare la luce che acceca, insofferente ad ogni rumore che acuisce ancora di più il dolore… aggiungiamo che la donna colpita si trova nei giorni che precedono il mestruo. Ecco una descrizione che fa pensare subito all’emicrania.
Nella classificazione internazionale delle cefalee sono necessarie proprio queste caratteristiche per parlare di emicrania:

  • almeno due fra questi quattro sintomi: dolore su un solo lato della testa, qualità pulsante del dolore, dolore di intensità medio-grave, aggravamento con la normale attività fisica (come camminare o salire le scale)
  • almeno uno dei due: nausea e/o vomito, fotofobia e fonofobia

Ciò che differenzia l’altra comune forma di cefalea, la cefalea tensiva dall’emicrania è soprattutto la minore intensità del dolore (da lieve a moderato) ed il fatto di non essere aggravato dalla normale attività fisica.
Perchè è importante questa distinzione tra emicrania e cefalea tensiva? perchè la terapia è diversa. Se la diagnosi di emicrania è corretta esistono possibilità concrete di terapia sia correggendo lo stile di vita sia con farmaci specifici.
Un’intera famiglia di farmaci usati per trattare l’attacco di mal di testa, i triptani, funziona solo nell’emicrania e non nella cefalea tensiva. A parte il trattamento dell’attacco molto si può fare in chiave preventiva ed anche senza l’uso di farmaci. Infatti è risaputo che l’attacco di emicrania inizia spesso in situazioni prestabilite molte delle quali dipendono da cattive abitudini di vita: bere troppo poco, saltare i pasti, alzarsi tardi la mattina, fare il sonnellino pomeridiano, mancanza di attività fisica. Ognuno di questi semplici strappi alla routine quotidiana è in grado di scatenare un attacco di emicrania in persone predisposte che hanno ridotte capacità di adattamento dei propri bioritmi. Ecco perchè l’emicrania può essere definita un disturbo dell’adattamento dell’organismo, e in quanto tale si può fare un’efficace azione di prevenzione modificando le proprie abitudini.
Altre volte gli attacchi di emicrania dipendono da fattori che non si possono prevenire, per esempio i cambiamenti climatici o le variazioni ormonali del ciclo mestruale, che sollecitano le capacità di adattamento. Se non si può intervenire in altro modo è allora indicato iniziare una cura farmacologica preventiva contro l’emicrania.

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Four seasons in Japan by Masakazu Matsumoto, Flickr Creative Commons Licence


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Emicrania e Forame Ovale Pervio (FOP)

E’ da tempo che è stata descritta l’associazione tra Emicrania e Forame Ovale Pervio (FOP) cioè un foro che mette in comunicazione l’atrio destro con l’atrio sinistro del cuore, e che può favorire il passaggio di microemboli nella circolazione generale.
Il Forame Ovale Pervio è molto frequente nella popolazione generale, fino al 25-30%, ed è dovuto alla mancata chiusura entro il primo anno di età della via di comunicazione fetale tra la parte destra e la parte sinistra del cuore: nel feto il sangue ossigenato proveniente dalla placenta arriva al cuore destro e invece che dirigersi ai polmoni passa attraverso il Forame Ovale e raggiunge direttamente il cuore sinistro e l’aorta. Dopo la nascita si attiva la circolazione polmonare e il Forame Ovale gradualmente si chiude. La chiusura a volte non è completa e rimane una comunicazione tra atrio destro e sinistro che generalmente passa inosservata e non è causa di sintomi.

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By Centers for Disease Control and Prevention (Centers for Disease Control and Prevention) [CC0], via Wikimedia Commons
La persistenza del FOP diventa pericolosa solo nel caso in cui si formino emboli nel sistema venoso, in genere a seguito di trombosi venosa alle gambe, e quando si modifica la normale differenza di pressione tra cuore destro e cuore sinistro. In condizioni normali la pressione nella sezione sinistra del cuore è superiore a quella presente a destra e ciò impedisce il passaggio di eventuali emboli nella circolazione generale; ma nelle situazioni in cui aumenta la pressione nei polmoni (per esempio con la tosse o con lo sforzo per defecare) aumenta di riflesso anche la pressione nell’atrio destro del cuore creando le condizioni per un passaggio di sangue dall’atrio destro a quello sinistro attraverso il forame ovale (shunt destro-sinistro).
La presenza di questa anomalia cardiaca può essere evidenziata con due indagini diagnostiche: l’Ecocardiografia Trans-Esofagea e il Doppler transcranico.
La chiusura del Forame Ovale può essere effettuata per via percutanea introducendo nel sistema venoso un catetere che raggiunge il cuore e rilascia un dispositivo (“ombrellino”) adatto a chiudere il foro.
Ma in quali casi è indicata questa procedura? Il FOP quanto è frequente nell’emicrania? E se presente deve essere chiuso o no?
La presenza di FOP è stata implicata nella genesi di alcune forme di ictus in assenza di altri fattori di rischio (ictus criptogenetico) e nell’origine dell’emicrania con aura. Tralasciando l’ictus che rappresenta una patologia diversa, si pensa che nell’emicrania la presenza del Forame Ovale permetta a sostanze vasoattive disciolte nel sangue e normalmente inattivate a livello polmonare, di raggiungere direttamente la circolazione cerebrale scatenando l’attacco di emicrania.
I dati sulla frequenza di FOP nell’emicrania senza aura non si discostano con certezza dalla sua frequenza nella popolazione generale (20-30%). E’ solo nell’emicrania con aura che la frequenza sembra più alta (30-50%) e dopo la sua chiusura è stato descritto un miglioramento dell’emicrania.
E’ stato da poco pubblicato uno studio che cerca di dare una risposta alla domanda se nell’emicrania con aura è utile la chiusura del Forame Ovale per ridurre la cefalea (studio multicentrico PRIMA, Percutaneous Closure of PFO in Migraine with Aura, 2016). Bisogna però sottolineare il fatto che i pazienti inclusi nella studio presentavano sia attacchi di emicrania senza aura, sia attacchi con aura, e che il numero di giorni di emicrania non corrisponde al numero di aure.
La risposta al quesito principale dello studio (end-point primario) è stata negativa: la chiusura del FOP in 40 pazienti con emicrania con aura non ha ridotto il numero di giorni di emicrania. Invece misurando solo i giorni in cui era presente anche l’aura si è vista una riduzione. Questo risultato ci mostra che la chiusura del FOP può ridurre il numero di aure ma non riduce il numero di giorni di mal di testa.
A tutt’oggi quindi, anche se lo studio citato non è conclusivo, si può dire che la chiusura del FOP non è indicata nel trattamento dell’emicrania con aura, considerato che si tratta di una pratica invasiva non priva di effetti collaterali, e che si può ricorrere in alternativa a trattamenti più semplici di natura farmacologica.
Solo se sono presenti altri fattori di rischio vascolare (alterazioni della coagulazione del sangue, assunzione di pillola estro-progestinica, fumo, diabete, ipertensione, dislipidemia) si può valutare l’indicazione alla chiusura del Forame Ovale Pervio non tanto per ridurre l’emicrania ma per ridurre il rischio di ictus cerebrale.

Bibliografia: Eur Heart J (2016) 37, 2029–2036 doi:10.1093/eurheartj/ehw027. Percutaneous closure of patent foramen ovale in migraine with aura, a randomized controlled trial. Heinrich P. Mattle, Stefan Evers, David Hildick-Smith ,Werner J. Becker, Helmut Baumgartner, Jeremy Chataway, Marek Gawel, Hartmut Göbel, Axel Heinze, Eric Horlick, Iqbal Malik, Simon Ray, Adam Zermansky, Oliver Findling, StephanWindecker, and Bernhard Meier


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Ascoltare musica cura la demenza di Alzheimer

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  Il documentario che ha vinto il premio del pubblico al Sundance Film Festival del 2014 intitolato Alive Inside apre una nuova prospettiva nella cura della demenza di Alzheimer: l’ascolto della musica è in grado di attivare ricordi ed emozioni in anziani con quadro di demenza conclamato.

L’uso terapeutico della musica è diventato essenziale negli Stati Uniti e in Canada in tutti i contesti in cui si trattano pazienti con demenza: nelle case di riposo, nei centri diurni o a domicilio. Non è necessario personale specializzato, non stiamo parlando di musicoterapia o musicoterapisti, sono sufficienti un iPod e una playlist personalizzata che contenga brani musicali significativi per la persona che ascolta: a questo scopo è utile condurre un’indagine dettagliata del genere di musica preferito e dei brani a cui il paziente è più affezionato anche risalendo ad alcuni decenni prima.

La musica il movimento e la parola sono strettamente collegati nel cervello umano e quando è presente un deficit motorio o cognitivo come nella demenza di Alzheimer si può utilizzare la musica a scopo riabilitativo. D’altra parte l’ascolto della musica è collegato nel bambino allo sviluppo delle capacità motorie e comunicative e accompagna tutta la crescita; nell’adolescenza si forma addirittura una “colonna sonora” individuale che procede di pari passo con la conquista dell’indipendenza e con le prime esperienze affettive. Non si può non citare anche l’uso integrato della musica e del movimento a scopo terapeutico nella EURITMIA, o espressione del giusto ritmo, proposta da Rudolf Steiner nel 1921 come parte della medicina antroposofica: nell’euritmia si fondono linguaggio e movimento, musica e movimento. Mentre noi comunemente pensiamo che la musica sia collegata ai ricordi e alle emozioni Steiner aggiungeva che ad ogni suono corrisponde un movimento.

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L’introduzione su larga scala della musica nella terapia della demenza di Alzheimer e di altri deficit cognitivi o motori si deve a Dan Cohen ed alla sua organizzazione non-profit Music & Memory. Dan Cohen aveva osservato che mentre tutti i giovani e molti adulti e anziani posseggono un iPod e lo utilizzano per ascoltare i brani preferiti, nelle case di cura per anziani con Alzheimer questo strumento è praticamente sconosciuto. La musica che si ascolta proviene di solito dalla radio o viene diffusa nei luoghi di incontro, ma dal momento che non si tratta di brani scelti dai pazienti, viene percepita come rumore di fondo e spesso spinge gli ascoltatori a chiudersi ancora di più in sè stessi. Ben diverso è l’effetto di brani musicali riconoscibili e con un significato personale nello storia dell’ascoltatore: la musica fa riaffiorare ricordi ed emozioni e sembra scongelare personalità ibernate dall’avanzare dell’età. Con l’ascolto della musica si può anche ridurre l’agitazione e l’uso di farmaci sedativi e antipsicotici che aggravano il declino cognitivo del paziente con Alzheimer.

Il segreto del risultato terapeutico della musica è semplice: interrogare le persone che hanno vissuto insieme al paziente e scoprire quali sono stati i brani e i generi musicali a cui è affezionato, creando una play-list musicale personalizzata da riproporre per l’ascolto quotidiano: l’effetto può essere sorprendente! Visto che prevenire è meglio che curare consiglio a tutti gli anziani di ascoltare la loro musica preferita e dato che oggi non esistono più giradischi e le radio trasmettono musica moderna se si avvicina un compleanno o una festività facciamo un regalo ai nostri nonni. 

Autore: Domenico Piazza    


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Quando fare TAC e Risonanza Magnetica nella cefalea

 

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I ricercatori del Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston hanno esaminato il comportamento dei medici americani nei confronti di chi soffre di mal di testa ¹ e il risultato non è confortante: i medici richiedono sempre più esami radiologici (soprattutto TAC e Risonanza Magnetica) e consulti specialistici e dedicano sempre meno tempo ad informare i pazienti su come prevenire il mal di testa adottando uno stile di vita sano. Le conseguenze sono l’aumento della spesa sanitaria e la perdita di giornate lavorative.
E’ stato esaminato un campione di oltre 9000 visite per cefalea effettuate tra il 1999 e il 2010, rappresentativo di 144 milioni di visite. La cefalea è uno dei più frequenti motivi di ricorso al medico con 12 milioni di visite all’anno negli USA ed un costo annuale di 31 miliardi di dollari. Nella maggior parte dei casi ci si rivolge al medico o per una cefalea comparsa da poco o quando il mal di testa cronico si riacutizza.
La valutazione iniziale ha il fine di identificare quei casi, fortunatamente rari, in cui la cefalea è il sintomo di una patologia grave sottostante. Le linee-guida consigliano di limitare gli esami radiologici (soprattutto TAC del cranio e Risonanza Magnetica) e le visite specialistiche alle situazioni in cui sono realmente presenti dei fattori di allarme: evidenza di deficit neurologici durante la visita, presenza di un tumore noto, febbre e infezioni in atto, traumi. In tutti gli altri casi le linee-guida suggeriscono di evitare esami inutili e di fornire al paziente quelle informazioni che permettono di prevenire la cefalea (emicrania e cefalea tensiva) modificando lo stile di vita: imparare a gestire lo stress, identificare i fattori scatenanti alimentari, evitare la vita sedentaria, bere acqua a sufficienza (idratazione), non cambiare l’orario del sonno nel week-end, ecc.
Invece negli USA nei 12 anni esaminati è raddoppiato sia il numero di pazienti sottoposti a TAC o Risonanza Magnetica (dal 6,7 al 13,9%) sia il numero di quelli inviati a un consulto specialistico (dal 6,9 al 13,2%). Contemporaneamente si registra una riduzione del tempo dedicato al “counseling” cioè all’orientamento ed al sostegno del paziente che scende dal 23,5 al 18,5%.
Anche se l’aumento di richieste di esami radiologici può far pensare sulle prime a un atteggiamento responsabile e scrupoloso, in realtà esprime il bisogno (legittimo) del medico che effettua la richiesta, a volte per insistenza del paziente, di tutelarsi da future rivalse. In questo caso andrebbe però spiegato che la maggior parte delle cefalee sono disturbi del funzionamento (cefalee primarie) e non della struttura del cervello (cefalee secondarie) e pertanto gli esami che studiano la struttura cerebrale, TAC e Risonanza Magnetica, sono inutili.
Inoltre trascurare di fornire adeguate informazioni impedisce al paziente di assumere un ruolo attivo nella cura lasciando coltivare l’illusione che tutto dipenda dalla ricerca di fantomatiche “cause” che solo un esame radiologico può individuare.

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Gli esami e le visite specialistiche per cefalea sono, anche secondo le linee-guida, in gran parte inappropriati, cioè non giustificati, e spesso fonte di ulteriori problemi: è il caso del frequente riscontro occasionale di anomalie che non hanno relazione con il mal di testa, ma allarmano il paziente e lo avviano in un tunnel di accertamenti ed esami inutili e costosi. Ci si ritrova così nella situazione paradossale che la richiesta di esami si autoalimenta e anziché risolvere l’incertezza del paziente la accresce.
Oltre ai “costi emotivi” per il paziente, ci sono i costi in termini di salute perché gli esami effettuati comportano rischi di cui bisogna tenere conto: rischio di reazioni allergiche se vengono utilizzati mezzi di contrasto, rischio di Fibrosi Sistemica Nefrogenica in pazienti con insufficienza renale quando viene utilizzato il gadolinio (mezzo di contrasto per la Risonanza Magnetica), rischi connessi all’uso di radiazioni ionizzanti quando si effettuano esami radiografici e TAC.
Questo è il rischio maggiore perché le radiazioni ionizzanti presentano un effetto cumulativo nel tempo e possono danneggiare il DNA e causare il cancro. Il rischio è maggiore nel caso di esposizione in giovane età per l’accumulo progressivo del danno nel corso degli anni.
Per avere un’idea della quantità di radiazioni ionizzanti a cui ci si espone con la TAC è utile prendere come riferimento il numero equivalente di radiografie del torace ²:

  • TAC del cranio = 85 radiografie del torace
  • TAC della colonna cervicale = 85 radiografie del torace
  • TAC della colonna lombare = 255 radiografie del torace

Questi valori sono puramente indicativi in quanto la dose di radiazioni dipende dalle modalità tecniche dell’esame e dal tipo di apparecchio: anche se le TAC più recenti utilizzano dosi di radiazione ridotte questo vantaggio può essere vanificato se si aumenta il numero di scansioni e di immagini che si vogliono ottenere.
Nel 2013 la Società Americana delle Cefalee (American Headache Society) ha aderito all’iniziativa di collaborazione tra medico e paziente denominata CHOOSING WISELY per una scelta consapevole del percorso diagnostico e terapeutico al fine di evitare esami e terapie non necessarie³. Tra le altre raccomandazioni si citano:

  1. evitare studi diagnostici radiologici in pazienti che presentano un mal di testa stabile che risponde ai criteri diagnostici dell’emicrania
  2. non utilizzare la TAC quando è disponibile la Risonanza Magnetica, tranne che in Pronto Soccorso.

Autore: Dr. Domenico Piazza

  1. JN Mafi,ST Edwards, NP Pedersen, RB Davis, EP McCarthy, BE Landon. Trends in the ambulatory management of headache; analysis of NAMCS and MHAMCS data 1999-2010. Journal of General Internal Medicine, 2015, 30, 5, pp 548-555
  2. La diagnostica per immagini, Linee guida nazionali di riferimento, SIRM, 2004
  3. Choosing wisely in headache medicine: the American Headache Society’s list of five things physicians and patients should question. Headache, 2013, 53, 1651-1659


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Il Magnesio per la terapia dell’emicrania

 

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Magnesio

Il magnesio, minerale molto usato nella cura della cefalea, fa parte dei 7 minerali “maggiori” presenti nel corpo umano, cosiddetti perchè il fabbisogno giornaliero supera i 100 mg. La dose giornaliera raccomandata è di 400-420 mg nell’uomo e di 310-360 mg nella donna secondo l’età. Il magnesio è molto importante nel mondo vegetale dove è presente all’interno della clorofilla e permette la fotosintesi cioè il processo attraverso cui le piante assorbono anidride carbonica in presenza di luce e producono il glucosio che nutre la pianta insieme all’ossigeno che viene poi liberato nell’aria.

 

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Il magnesio è presente nella clorofilla e permette la fotosintesi

 

Le principali fonti di magnesio nella dieta dell’uomo sono pertanto rappresentate da crusca di frumento e germe di grano, verdure a foglia verde, frutta secca (mandorle, arachidi, nocciole, pistacchi), legumi, cereali, soia, cioccolato amaro.

 

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Contenuto di magnesio per alimento

Il corpo umano contiene circa 25 grammi di magnesio, per il 99% all’interno delle cellule, è presente soprattutto nelle ossa, nei muscoli e nel cervello. Il magnesio è contenuto in oltre 300 enzimi coinvolti nel metabolismo degli zuccheri, dei lipidi e delle proteine e interviene sia nella produzione di energia a livello dei mitocondri sia nel garantire la stabilità di DNA e RNA. E’ inoltre necessario per i processi di riparazione del DNA e il mantenimento di livelli normali di Sodio, Potassio e Calcio.

Fu il prof. Pierre Delbet a scoprire a Parigi, negli anni della prima guerra mondiale, che il lavaggio con una soluzione di Cloruro di Magnesio facilita la guarigione delle ferite stimolando l’attività dei globuli bianchi; i tessuti irrorati con questa soluzione guariscono più facilmente e non vanno incontro ad infezioni. Delbet definì il fenomeno da lui descritto “citofilassi”. Essendo ancora lontana ai suoi tempi l’era degli antibiotici (la penicillina venne scoperta da Fleming nel 1928) le osservazioni di Delbet permisero di prevenire con maggior successo le sovrainfezioni batteriche delle numerose ferite di guerra. Ben presto le osservazioni di Delbet portarono alla luce altri aspetti dell’azione del Magnesio. Curiosa è la scoperta dell’effetto tonico e anti-astenico: alcune infermiere riferirono al Professore che avevano cominciato a bere una soluzione di Magnesio per vincere la fatica e lo stress lavorativo dopo aver osservato l’effetto positivo ed euforizzante sui malati.

 

Questa osservazione aprì la strada alle successive scoperte sul significato biologico di questo minerale che influenza vari aspetti della salute: il Magnesio non solo potenzia le difese immunitarie ma agisce in modo diffuso nell’organismo. E’ stata chiarita l’importanza del magnesio nel mantenere il normale tono dell’umore e nella prevenzione di molteplici malattie: quelle cardiovascolari, l’ipertensione, il diabete, l’osteoporosi.

Considerando la sua importanza nei processi metabolici e nel funzionamento del sistema nervoso e vascolare, non stupisce che si sia dimostrato utile anche nella terapia dell’emicrania. Il magnesio è il trattamento per l’emicrania che più si avvicina a una terapia ideale nello stesso tempo efficace, priva di rischi e di effetti collaterali, sicura in gravidanza e poco costosa. Questo è il motivo per cui è stato proposto come trattamento a cui si dovrebbero sottoporre tutti i pazienti con emicrania (1). Il magnesio viene spesso utilizzato sotto forma di compresse di ossido di magnesio alla dose ben tollerata di 400 mg al giorno. Gli effetti collaterali più frequenti sono i crampi addominali e la diarrea, trattabili riducendo il dosaggio. La diarrea è un meccanismo di difesa che previene l’insorgenza della tossicità del magnesio che può manifestarsi con debolezza muscolare, insufficienza cardiaca e respiratoria. Dal momento che l’eliminazione del magnesio avviene attraverso i reni, i pazienti con patologia renale presentano un rischio maggiore di tossicità. Il magnesio per via orale è classificato come sicuro in gravidanza fino alla dose di 400 mg al giorno e pertanto si può utilizzare come trattamento antiemicranico preventivo in giovani donne che desiderano la gravidanza.

Come si spiega l’effetto positivo del magnesio nell’emicrania? Il magnesio è coinvolto nella “cortical spreading depression” dell’aura emicranica, nella liberazione dei neurotrasmettitori, nell’aggregazione piastrinica e nella vasocostrizione, tutti fenomeni importanti nello sviluppo dell’attacco emicranico. La carenza di magnesio provoca inoltre la sintesi e il rilascio della sostanza P che agisce sulle fibre nervose sensitive producendo dolore.

Solo il 2% del magnesio corporeo si trova nel sangue e il valore complessivo di magnesio plasmatico può essere normale nell’emicrania. Nel 50% degli emicranici risulta però ridotta la quota di magnesio in forma ionizzata (Mg ++) che è quella biologicamente attiva, in grado di influenzare il tono vascolare e le funzioni di molti neurotrasmettitori, per prima la serotonina. E’ dimostrato che una parte dei soggetti emicranici presenta una carenza di magnesio, o almeno della sua forma attiva ionizzata, ed è stata evidenziata una carenza di magnesio nei soggetti emicranici tra una crisi e l’altra (2). Sono numerosi gli studi che dimostrano l’efficacia della terapia preventiva con magnesio nel ridurre il numero e l’intensità degli attacchi soprattutto in alcuni tipi di emicrania come l’emicrania mestruale (3), l’emicrania con aura e l’emicrania dell’infanzia. Data l’ottima tollerabilità del magnesio questo minerale dovrebbe essere il trattamento di prima scelta nei bambini e nelle donne che desiderano la gravidanza. Buoni risultati si ottengono anche in acuto in Pronto Soccorso con il solfato di magnesio somministrato in infusione endovenosa negli attacchi di emicrania più intensi: uno studio dimostra la completa scomparsa del dolore 15 minuti dopo l’infusione di 1 grammo di solfato di magnesio nell’80% dei pazienti (4).

Autore: Dr. Domenico Piazza

(1) Why all migraine patients should be treated with magnesium; Mauskop A, Varughese J; J Neural Transm. 2012 May; 119 (5); 575-9.

(2) Talebi M, Savadi-Oskouei D, Farhoudi M, et al. Relation between serum magnesium level and migraine attacks. Neurosciences (Riyadh). 2011;16(4):320-323.

(3) Mauskop A, Altura BT, Altura BM. Serum ionized magnesium levels and serum ionized calcium/ionized magnesium ratios in women with menstrual migraine. Headache. 2002;42(4):242-248.

(4) Intravenous magnesium sulfate rapidly alleviates headaches of various types; Mauskop A, Altura BT, Cracco RQ, Altura BM; Headache 1996 Mar;36(3):154-60.